http://nena-news.it/sahara-occidentale-il-conflitto-dimenticato/
Nei mesi della ripresa delle negoziazioni fra Marocco e Fronte Polisario per la questione del Sahara Occidentale, il reportage fa luce sugli aspetti controversi di questo conflitto e del vivere quotidiano sotto occupazione.
Si era dovuto fare tutto molto in fretta per schivare il divieto, camminare a passo spedito per evitare le guardie, inventarsi una scusa per eludere il controllo. Si era dovuto nascondere il registratore per rompere il silenzio, si era dovuto infilarsi di soppiatto per vedere da vicino cosa c’è oltre il muro e le mine, per conoscere l’isolamento. Si era capito fin dall’inizio che non si era i benvenuti, almeno per qualcuno. Che c’erano dei sospetti e degli sguardi complici, fra le bandiere rosse con la stella verde erette ogni dieci metri e le gigantografie di Re Muhammad VI, fra il campo da calcio sponsorizzato dall’AC Milan e il Mc Donald’s impadronitosi della piazza grande. Che c’era qualcosa che non andava era nell’aria e lo si respirava, che sarebbe successo qualcosa ce lo si aspettava: è arrivato con solo poche ore di ritardo. La mattina hanno bussato alla porta in sei, vestiti in borghese e abituati a comandare. A prendere senza chiedere. I servizi segreti ci hanno messo in stato di fermo e ci hanno interrogato, hanno registrato e catalogato il materiale raccolto che sono riusciti a trovare e ci hanno espulsi, pur assicurandosi di continuare a pedinarci. Hanno detto che era stato commesso un reato, che si era fatto qualcosa di illegale.
È successo a Laayoune un paio di mesi fa, nella capitale del Sahara Occidentale occupato dal Marocco. Qualcosa di illegale agli occhi dei servizi segreti era stato effettivamente commesso: un incontro – che per com’è la situazione in loco era diventato clandestino – con rappresentanti del popolo sahrawi organizzati nel sindacato dei lavoratori e dei disoccupati. Si sarebbero dovuti incontrare anche altri attivisti e organizzazioni: i famigliari delle vittime e dei desaparecidos, alcuni giornalisti, la rete di appoggio ai prigionieri politici e molte donne, simbolo della resistenza pacifica all’occupazione. Con i membri del sindacato, si sarebbe dovuto mascherarsi e andare a vedere le mine di Boucra, dove il Marocco estrae il fosfato e lo vende al resto del mondo. Lì, i minatori sahrawi vengono impiegati come manodopera sottopagata rispetto agli altri operai di nazionalità marocchina. È quanto affermano i lavoratori, che lamentano la mancanza di garanzie e diritti sindacali. I disoccupati, invece, spiegano che per essere sahrawi non hanno alcun posto di lavoro, per cui l’unica soluzione è l’emigrazione: Il disoccupato sahrawi è immagine della società sahrawi perché le sue sofferenze sono le sofferenze di tutta la popolazione. La forza occupante lo mette di fronte a due possibilità: vivere nella miseria oppure scegliere l’esilio. Così facendo, si perpetua la colonizzazione marocchina del Sahara Occidentale.
Si sarebbero dovute vedere molte cose, ma il Marocco non lo consente e anzi lo giudica illegale: parlare con rappresentanti del popolo originario sahrawi è sufficiente per venire arrestati e implicare, per chi ha parlato, una notte nel posto di polizia.
Il Sahara Occidentale è un territorio occupato. Dal 1975 il Regno del Marocco lo considera di sua proprietà, sebbene ciò sia in disaccordo con la Corte Internazionale di Giustizia, che nel 1963 lo ha inserito nella lista dei territori non autonomi e ha stabilito che non appartiene in alcun caso al Regno del Marocco. Dal giorno della Marcia Verde, quel 6 novembre 1975 in cui Re Hassan II promosse l’invasione del Sahara Occidentale da parte di 300’000 cittadini marocchini accompagnati da soldati e blindati e ne strappò di fatto il controllo alla precedente forza colonizzatrice spagnola, il popolo sahrawi vive sotto occupazione. Significa subire una discriminazione diaria nell’accesso alla sanità e all’educazione, al lavoro e agli spazi politici e sociali. Significa subire il saccheggio sistematico delle proprie risorse naturali da parte del governo occupante e di multinazionali straniere. Significa essere un popolo muto, che non ha voce: a cui è impedito di parlare, di denunciare le violenze all’ordine del giorno, la repressione di ogni tipo di protesta e la colonizzazione in atto. Le ragioni della censura le spiega Omeilma, rappresentante del Fronte Polisario presso le Nazioni Unite: Il Marocco dispone di un potere di lobby estremamente efficace di fronte ai governi, alle istituzioni e alle élites del potere economico, e ciò gli assicura un peso enorme nel quadro dell’“equilibrio mondiale”; per questo, insieme allo Stato di Israele, è
considerato dalle potenze occidentali un paese alleato di primo grado. Il Marocco ha il potere di minacciare l’Occidente strumentalizzando argomenti come l’apertura delle porte all’immigrazione africana, alla droga e al terrorismo.
44 anni di occupazione è il bilancio. Va aggiunto un conflitto armato di 15 anni (1976-1991) tra il Fronte Polisario – governo in esilio del Sahara Occidentale – e il Marocco, che a partire dagli anni ’80 ha voluto la costruzione di un muro lungo 2700 km e costeggiato da quasi 7 milioni di mine per separare i territori occupati da quelli liberati, una piccola porzione di terra priva di infrastrutture e soggetta a un forte embargo economico. Col tempo, nella vicina Algeria, attorno alla città di Tindouf, sono cresciuti diversi campi profughi in cui oggi vivono ammassati 173’000 sahrawi, dipendendo quasi completamente dagli aiuti internazionali. Va aggiunto un Cessate il Fuoco nel 1991 promosso dalle Nazioni Unite e a cui a sua volta è seguita una promessa: il Referendum per l’autodeterminazione del popolo sahrawi, da organizzarsi entro 6 mesi dall’arrivo della missione ONU della MINURSO nel 1991. Ma sono passati 28 anni, il Referendum non è ancora stato fatto e il popolo sahrawi sta perdendo la speranza oltre alla pazienza.
A inizio dicembre 2018, dopo sei anni dall’ultimo tentativo, l’attuale inviato speciale delle Nazioni Unite per il Sahara Occidentale, Horst Kohler, ha convinto il Fronte Polisario e soprattutto il Marocco a tornare a parlare: si sono riaperte le negoziazioni, il cui prossimo incontro è previsto nel primo trimestre del 2019. Lo stesso inviato speciale si è detto soddisfatto per l’atmosfera positiva e lo sguardo propositivo assunto da entrambe le parti, che hanno convenuto che la soluzione al conflitto è l’unica opzione per costruire un clima di pace nella regione. Va detto, però, che il Marocco sembra stia avvalendosi di queste negoziazioni per riaprire un dialogo con l’Algeria, mentre il Fronte Polisario continua ad attenersi a quella del Referendum come unica soluzione possibile.
Una soluzione che ha anche l’aspetto di un ultimatum, come sottolinea Omeilma: Fin dall’inizio delle negoziazioni, il Fronte Polisario si è impegnato di fronte alla Comunità Internazionale per trovare una soluzione pacifica al conflitto. Nel 1991 ha creduto nell’intervento delle Nazioni Unite per porre fine alla guerra e per l’organizzazione del Referendum; per questa ragione ha firmato il Cessate il Fuoco. Il Fronte Polisario è stato all’altezza dell’impegno assunto, ma la Comunità Internazionale non ha saputo fare altrettanto. Non ha saputo rispondere alle sue domande. Noi non abbiamo mai chiesto bombe, chiediamo solo di poter decidere del nostro futuro. Chiediamo una soluzione pacifica a questo conflitto. Noi speriamo che la ripresa delle negoziazioni sia un passo importante verso la pace. Speriamo che ci sia la volontà politica di seguire questo cammino, speriamo che il Marocco assuma le sue responsabilità. Sappiamo anche che per il popolo sahrawi, queste negoziazioni sono l’ultima speranza per evitare la guerra. Le nuove generazioni sono stufe di aspettare senza vedere alcun risultato. Chiedono fatti. Il Fronte Polisario ha assunto un impegno istituzionale di fronte alla Comunità Internazionale, ma non può più chiedere al suo popolo di aspettare. 44 anni sono troppi.