Bombe a Bogotá
Sabato 27 marzo, a due settimane dalle elezioni legislative che hanno visto una grande crescita della coalizione di centro sinistra “Pacto Histórico” di Gustavo Petro e Francia Marquez, alle 19:15 esplode una bomba di fronte alla stazione di polizia di Ciudad Bolivar, una delle zone più povere di Bogotá, situata nel suo estremo sud-occidentale. Il posto di polizia si trova di fronte a un centro scolastico e di fianco al parco giochi di una piazzetta che funge da luogo di incontro per la gente che vive nella parte alta del quartiere, detta appunto Arborizadora Alta. Poco sopra, arrivando quasi ai 3000 metri di altitudine, si estente il parco ecologico “Cerro Seco”, una frontiera naturale che delimita la crescita urbana incontrollata e che a sua volta è oggetto di disputa territoriale per i progetti dell’industria estrattiva illegale.
Per l’orario e l’ubicazione, è impossibile che la bomba non lasci morti e feriti tra la popolazione civile, e in effetti succede il peggio: le vittime sono un bambino di 5 anni e un’altra di 12 anni. All’interno del CAI – Centro de Atención Inmediata, il posto di polizia – in quel momento vi è un solo poliziotto di grado minore, che subirà ferite lievi.
Immediatamente inizia la caccia al colpevole e già nelle ore successive il governo accusa il Fronte 33 delle dissidenze delle FARC di essere reponsabile dell’attentato: nonostante l’assenza di una rivendicazione ufficiale e benché storicamente non ci siano legami fra questo gruppo armato e la zona in questione, si dice che l’attacco sarebbe stato orchestrato dal territorio venezuelano, e che per l’esecuzione pratica sarebbe stato contrattato un gruppo locale di delinquenza comune.
Nei giorni successivi, quel che resta della stazione di polizia viene tappezzato con decorazioni e fiori in omaggio alla vita, alla pace e alla sicurezza: tutt’intorno, gli impiegati della municipalità si dedicano a pitturare una gigantesca scritta sull’asfalto della strada, che a caratteri cubitali ribadisce che la vida es sagrada.
Non tutti però credono alle frasi a effetto che si ripetono ogni volta: i collettivi locali impegnati nella difesa del territorio, nel rispetto dei diritti umani e nell’inclusione delle popolazioni indigene e dei desplazados che giungono dalle varie zone del paese a causa della violenza, denunciano che si tratta di un auto-attentato orchestrato dai servizi segreti statali in collaborazione con i settori di estrema destra al potere e gli ambienti militari, al fine di destabilizzare l’ordine sociale in questo periodo che precede le elezioni presidenziali di fine maggio. Nel nome della sicurezza nazionale, lo scopo sarebbe quello di scongiurare la possibilità storica che alla Casa de Nariño si instauri un “governo alternativo”. A tal proposito, la scelta del luogo non appare per nulla casuale, se si pensa che la zona in questione di Ciudad Bolivar si è caratterizzata lo scorso 13 marzo per essere un importante bacino di voti a favore del “Pacto Histórico” nel quadro delle elezioni legislative.
La guerra nel dipartimento di Arauca
Il dipartimento di Arauca si trova a est della Colombia e confina con il Venezuela, benché le relazioni con la Repubblica Bolivariana siano ufficialmente interrotte da quando Duque ha riconosciuto Guaidó come legittimo presidente. Qui la violenza, le bombe, gli omicidi e gli attentati, sono iniziati già qualche mese fa: le dinamiche sono diverse ma è forse possibile riconoscere alcuni aspetti in comune con quanto avvenuto a Ciudad Bolivar.
Lo scorso mese di ottobre il governatore di Arauca viene arrestato con l’accusa di collaborazione con l’ELN – Ejército de Liberación Nacional, la cui presenza in questo dipartimento è storica e ben radicata nel tessuto sociale e politico; da Bogotá viene immediatamente imposto un nuovo nome: Alejandro Miguel Navas Ramos, già comandante dell’Esercito Nazionale fra il 2010 e il 2011 e poi delle Forze Militari Colombiane fra il 2011 e il 2013, sotto processo all’interno della JEP – Jurisdicción especial para la Paz, meccanismo di giustizia transizionale nato con gli Accordi di Pace – per esecuzioni extragiudiziali.
Poco più tardi, il 2 gennaio 2022, inizia la guerra fra l’ELN e i fronti 10 e 28 delle dissidenze delle FARC: nei municipi di Saravena, Fortul, Tame e Arauquita si verificano scontri armati, omicidi e stragi ai danni della popolazione civile e contadina, e soprattutto ai danni di attivisti e leader sociali. Lo stesso accade il 6 gennaio nel municipio di Manì, dipartimento di Casanare.
A un paio di mesi di distanza, il bilancio è quello di una vera e propria guerra: 125 persone uccise, 25 insegnanti minacciati di morte, 2378 sfollati, intere comunità contadine confinate, mobilità ristretta o del tutto bloccata, aumento esponenziale del reclutamento di minorenni.
La risposta dello Stato si traduce unicamente nella militarizzazione del territorio, con lo schieramento di due plotoni formati da 600 soldati: il risultato non è altro che ulteriori violazioni contro le comunità rurali, minacce, segnalazioni e diffamazioni, e naturalmente altre vittime della guerra. Non solo, nell’affanno di dimostrare risultati che ne attestino l’efficacia, i militari presentano arresti e uccisioni di presunti guerriglieri che nella maggior parte dei casi sono contadini e attivisti sociali, una logica questa che durante la presidenza di Uribe (2002-2010) si era già conosciuta con il nome dei famosi “falsi positivi”.
Ma il fatto più grande per lo meno a livello simbolico avviene il 19 gennaio nel piccolo municipio di Saravena, a pochi chilometri dalla frontiera con il Venezuela. Poco dopo le 22 esplode un’autobomba di fronte alla grande sede che raggruppa varie organizzazioni contadine, di diritti umani e del movimento sociale. Il bilancio è di un morto, il custode di un piccolo edificio situato al lato, ma l’intenzione era quella di fare ben peggio, come dimostra il fatto che nemmeno in questo caso il momento in cui viene detonata la bomba appare casuale: all’interno della sede delle organizzazioni sociali, infatti, si trovavano in quel momento oltre 60 attivisti impegnati in un seminario di formazione politica su tematiche legate ai diritti umani e all’autoprotezione. L’intenzione, appunto, era quella di fare una strage; l’autore è il Fronte 28 delle dissidenze delle FARC.
Poco più di una settimana prima, un altro attacco con esplosivo aveva colpito, sempre a Saravena, la sede dell’Empresa Comunitaria de Acueducto Aseo y alcantarillado de Aseo de Saravena – ECAAAS, situata a 200 metri dalla stazione di polizia e già finita negli anni scorsi nel mirino della persecuzione statale, con omicidi e processi ai danni dei suoi rappresentanti. ECAAS è un’impresa di gestione comunitaria nata dalle lotte del movimento sociale, che garantisce l’accesso gratuito all’acqua potabile per la popolazione del municipio di Saravena; anche in questo caso, la bomba viene rivendicata dal Fronte 28 delle dissidenze delle FARC, il cui leader Antonio Medina immediatamente dopo diffonde un audio-messaggio in cui minaccia di morte i rappresentanti della cooperativa.
La guerra fra ELN e FARC
La guerra fra ELN e FARC nel dipartimento di Arauca non è nuova: gli anni fra il 2006 e il 2010 furono segnati da un intenso conflitto armato fra le due guerriglie, che lasciò migliaia di morti e sfollati fra la popolazione civile e che si concluse nel momento in cui il Segretariato delle FARC e il Comando centrale dell’ELN negoziarono una pace e si spartirono il controllo di buona parte del territorio. Successivamente, nel 2013, firmarono un accordo di alleanza militare che si mantenne in vigore fino all’inizio del 2020, anche dopo gli Accordi di Pace tra le FARC e il governo Santos e valido dunque ancora con il Fronte 10 e 28 delle dissidenze della storica guerriglia presenti nella zona.
Dall’inizio del 2021, tuttavia, le cose sono cambiate. Nel mese di marzo la Defensoria del Pueblo – entità statale incaricata del rispetto dei diritti umani – aveva emesso un’allerta pubblica rispetto all’espansione del gruppo paramilitare delle AGC (Autodefensas Gaitanistas de Colombia, eredi delle AUC, Autodefensas Unidas de Colombia) nelle zone del dipartimento di Casanare che storicamente erano state sotto controllo della guerriglia: gli effetti e i rischi di tale espansione erano omicidi selettivi, estorsioni, “pulizia sociale”, reclutamento di minorenni e via discorrendo.
Poi, dall’inizio del 2022, la nuova guerra fra le dissidenze delle FARC e l’ELN nel dipartimento di Arauca, a cui si aggiunge il ruolo dell’Esercito Colombiano e della Repubblica Bolivariana del Venezuela, quest’utlima schierata in appoggio all’ELN e alla Segunda Marquetalia, altra espressione delle dissidenze delle FARC ma agli ordini di alias Ivan Marquez, entrato nel processo di pace ma poi sottrattosi prima della firma degli Accordi Finali.
Le cose oggi sono diverse e ben più complesse, ma le varie organizzazioni del movimento sociale che maggiormente stanno pagano il prezzo della violenza concordano e parlano chiaro: in corso non vi è nessun conflitto fra due guerriglie, bensí una guerra da parte dello Stato colombiano contro lo stesso movimento sociale. Lo dimostrano i fatti, gli obiettivi e le modalità degli attacchi perpetrati da parte delle dissidenze delle FARC.
L’interpretazione sembra quindi non lasciare dubbi: i servizi segreti statali e l’esercito colombiano starebbero collaborando con le dissidenze delle FARC (fronte 10 e 28) presenti in questa zona del territorio per combattere contro l’ELN ma soprattutto contro attivisti e leader del movimento sociale, dando forma a una nuova strategia paramilitare. Qualcosa che si era già visto in passato con la parziale smobilitazione dell’EPL – Ejército Popular de Liberación nel dipartimento di Urabá, dove i leader della guerriglia vennero cooptati e passarono a collaborare con lo Stato e con i gruppi paramilitari; l’esempio più celebre è sicuramente quello del famoso alias Otoniel. Un’interpretazione in linea anche con l’evidente avverisone da parte del Governo di Duque all’implementazione degli Accordi di Pace, come dimostrano i 310 omicidi di ex-guerriglieri dal 2016 a oggi.
Nel dipartimento di Arauca, gli obiettivi di questa nuova forma di paramilitarismo travestito da guerriglia sarebbero molteplici, ma fra questi due i principali: 1. Smantellare il tessuto sociale storicamente forte e ben organizzato, molto attivo nell’opposizione al progetto neoliberista di saccheggio delle risorse naturali che nella zona araucana si traduce soprattutto nella presenza di imprese multinazionali che si dedicano all’estrazione di petrolio e che causano ingenti danni ambientali; 2. Utilizzare la zona di confine con il Venezuela per destabilizzare il governo di Maduro.
Una carovana per la vita
Dal 22 al 26 di marzo è stata organizzata una carovana di solidarietà con il popolo araucano che da Bogotá ha raggiunto i municipi maggiormente colpiti dalla violenza, come Tame, Fortul, Saravena e Arauquita, per poi concludersi e in un grande forum ad Arauca, la capitale dell’omonimo dipartimento. Sono state raccolte le testimonianze delle organizzazioni locali e dei sopravvissuti alla guerra tuttora in corso, insieme alle loro rivendicazioni: il rispetto del diritto umanitario internazionale e la dichiarazione dello status di emergenza umanitaria nella zona; la smilitarizzazione del territorio e una maggior presenza istituzionale in termini di servizi sanitari ed educativi; l’abolizione dei progetti di sviluppo basati sulle premesse di sicurezza nazionale e sfruttamento delle risorse naturali; il rispetto dei diritti umani e le garanzie di incolumità per le comunità e i leader sociali; la riapertura delle relazioni diplomatiche con il Venezuela; lo smantellamento delle vecchie e nuove forme di paramilitarismo.
È proprio da quest’ultimo punto e dal tentativo di costruire una vera pace da cui dovrà partire il programma politico di un eventuale “governo alternativo”, che le elezioni presidenziali del 29 maggio diranno se sarà realtà o se rimarrà un’occasione persa.
Per il momento lo scenario è però quello di una costante guerra sporca orchestrata dall’oligarchia colombiana nel tentativo di aggrapparsi al potere che da sempre si è spartita con Stati Uniti e imprese straniere. Nella vita di tutti i giorni, ció comporta che le diverse zone del paese vivono le loro complessità in quanto a interessi e dinamiche fra attori e gruppi armati, però a monte persiste una strategia generale capace di adattarsi ai contesti fluttuanti; un disegno che oscilla fra l’evidente e l’opaco, ma che in modo generico e forse approssimativo risponde a una logica ben precisa: il terrorismo di Stato.
Cronache di un’altra guerra: la crisi in Arauca e le nuove forme del paramilitarismo