Con il risultato del primo turno si apre la seconda fase della campagna elettorale. La vera ed inquietante sorpresa è Rodolfo Hernandez, il populista di destra che andrà al ballottaggio il 19 giugno contro la sinistra di Petro e Francia Marquez, primi con il 40 per cento dei consensi
Nel giorno in cui buona parte del popolo colombiano era pronto a celebrare la vittoria della sinistra al primo round e quindi l’elezione di Gustavo Petro alla presidenza della Colombia, gli animi, quasi increduli, si sono dovuti placare di fronte all’insufficiente numero di voti ottenuti dall’alleanza progressista Pacto Histórico. Ma questa, purtroppo, non è stata la cattiva notizia né la principale ragione per cui l’euforia e la speranza sono state spazzate via in poche ore, aprendo la porta a un sentimento di impotenza e al timore di perdere un’occasione storica.
A scanso di equivoci va detto che la sinistra ha vinto le elezioni presidenziali, così come aveva vinto quelle legislative lo scorso mese di marzo. E il risultato è effettivamente stato storico, con un 40,32% delle preferenze corrispondenti a 8.527.768 voti.
Qualcosa che non era mai accaduto prima in Colombia per una formazione progressista (mai andata oltre il tetto massimo del 30%). E soprattutto, con la vittoria nella capitale Bogotá – città di cui Petro è stato sindaco fra il 2012 e il 2015, prima di venire destituito in circostanze dubbie oltre che politiche – con un 47%, oltre che in varie regioni principalmente periferiche, povere e segnate dalla violenza socio-politica, come Valle del Cauca (53,5 %), Bolívar (49 %), Magdalena (49 %), Amazonas (46 %), César (44 %), Chocó (72,4 %), Nariño (70,1%), Cauca (68,8 %) e Vaupés (67,5 %).
La cattiva notizia, si diceva, non è data dallo scenario comunque prevedibile di un passaggio al secondo round elettorale, bensì dallo sfidante che a sorpresa si presenterà al ballotaggio del prossimo 19 giugno. Si tratta di Rodolfo Hernández, ingegnere e imprenditore di 77 anni e già sindaco della città di Bucaramanga, esponente della destra ma che si smarca dall’uribismo classico rivendicando la sua indipendenza dalle correnti ideologiche tradizionali, populista e che ha fatto del discorso anti-corruzione (benché lui stesso sia indagato proprio per un caso di corruzione) l’asso che lo ha portato a raccogliere il 28,15% delle prefernze, con 5.953.209 voti. Voti giunti dal centro e dall’oriente del paese, le zone che quattro anni fa avevano garantito la vittoria di Ivan Duque.
Una cattiva notizia
Le analisi, ancora a caldo, dei risultati elettorali confermano alcune tendenze che avevano già preso piede nelle settimane e nei mesi scorsi.
La prima è sicuramente la crescita della sinistra e la sua capacità di raggiungere un’ampia fetta della popolazione, anche quella non abituata a votare per un programma progessista e incentrato sul cambiamento. Una sinistra in grado di far leva sul malcontento rispetto al governo di Duque, alla sua gestione della pandemia e della protesta sociale; un governo colpevole di non aver mai considerarto gli strati più deboli.
La seconda analisi che ci regala la scorsa domenica 29 maggio viene dalla constatazione dell’apparente caduta della destra uribista, che aveva scommesso su Federico Gutiérrez (Fico), rimasto fermo al 23,92% nonostante si pensasse che fosse l’unico reale pretendente, insieme a Petro, alla presidenza della Repubblica di Colombia. Un dato, questo, che conferma la crisi dell’uribismo come ideologia, come strategia politica e come narrazione mediatica. In questo senso, il successo di Rodolfo Hernandez è un voto contro l’establishment, contro la politica e contro la stessa destra tradizionale.
Ma tutto questo era già piuttosto chiaro e per questa ragione, tutto sommato, la figura di Fico non faceva così paura all’alleanza di sinistra Pacto Histórico, che all’insegna dell’antiuribismo aveva costruito le sue fortune.
Da qui la cattiva notizia: benché abbia vinto con una votazione storica nel primo round, Gustavo Petro sembra ora essere sfavorito per il ballotaggio del 19 giugno. Rodolfo Hernández potrà ora infatti contare sull’elettorato di Fico – il quale gli ha immediatamente dichiarato il suo appoggio –, su tutto l’orizzonte politico antipetrista e infine anche su quello di centro e antiuribista che avrebbe comunque preferito votare Petro piuttosto che un nuovo delfino di Uribe. Non è quindi da escludere, anzi al contrario, la possibilità di vedere Rodolfo Hernández consacrarsi presidente e sancire così la sconfitta della sinistra in quella che sembrava essere l’occasione buona.
Denuncia dell’impunità dei paramilitari dell’estrema destra al corteo dello sciopero di Cali, luglio 2021
Una strategia preparata a tavolino
E non è nemmeno da escludere che quanto visto domenica scorsa sia in realtà risultato di una strategia pianificata a tavolino dalla destra intera, incluso quella uribista in un tentativo gattopardiano di trasformarsi per mantenersi al potere.
Basti pensare che fino a due settimane fa, Rodolfo Hernández era pressoché sconosciuto all’elettorato colombiano. Del tutto invisibile nelle strade e nella campagna elettorale mainstream, dopo aver raccolto un risultato completamente irrilevante nelle elezioni legislative di marzo con la sua coalizione apartitica Liga de Gobernantes Anticorrupción, nelle ultime settimane ha costruito il consenso popolare su Facebook, Instagram e Tik Tok, anche se nessuno immaginava che potesse davvero arrivare così lontano.
Ma forse era proprio lui la figura adatta che avrebbe permesso alla destra di ricompattarsi, una destra conscia dell’aria di cambiamento che tira nel paese e che avrebbe così deciso di abbandonare Fico – evidentemente incapace sul piano politico almeno quanto Duque – per scommettere su quest’altra rappresentazione di se stessa.
Un dato in particolare sembrerebbe appoggiare questa lettura: salvo i dipartimenti di Antioquia – roccaforte storica dell’uribismo duro e puro – Quindío e Risaralda, Rodolfo Hernández ha trionfato nelle altre dieci regioni che nel 2016 votarono «no» al plebiscito sugli Accordi di Pace con le FARC. Una geografica che corrisponde alla «Nazione Uribe» e che confermerebbe la strategia politica della destra per impedire, costi quel che costi, l’eventualità della vittoria di un governo popolare e alternativo.
Le prossime settimane
Lo stesso Petro, a scrutinio ancora in corso, ha immediatamente denunciato il fatto che Rodolfo Hernández fosse il piano C dell’uribismo. Tale affermazione ha di fatto aperto la seconda fase della campagna elettorale che da qui al 19 giugno determinerà chi sarà il nuovo presidente della Colombia. Tuttavia non sarà facile etichettare Rodolfo come uribista, dato che egli stesso se ne discosta e che mantiene un discorso ambiguo e contraddittorio, marcato da tratti profondamente patriarcali e sessisti – afferma che le donne non dovrebbero partecipare alla vita politica e che la legge contro i femminicidi non ha alcun senso – accanto ad altri progressisti, come per esempio l’opposizione all’eradicazione forzata delle coltivazioni di coca con il glifosato e il favore alla legalizzazione della marijuana.
Nelle ultime ore sembra quindi che la campagna elettorale del Pacto Histórico stia andando nella direzione di abbandonare l’enfasi nel cambiamento per presentarsi come l’opzione più affidabile e istituzionale, di fronte a un opponente populista e antisistema che viene dipinto come il Trump o il Bolsonaro colombiano.
In questo scenario, la stessa candidata alla vicepresidenza Francia Márquez sta passando in secondo piano, un modo per convincere anche i meno convinti a votare per una sinistra che ora più che mai volge lo sguardo al centro. Effetti questi di una sconfitta nella vittoria, che spiegano perché era di fondamentale importanza vincere al primo round elettorale.
Nelle prossime due settimane succederà probabilmente di tutto, usciranno scandali sulla vita privata e professionale di entrambi i candidati alla vicepresidenza e la popolazione sarà chiamata a decidere per uno o per l’altro, sperando che la violenza non assuma un ruolo da protagonista.
Petro e Francia Márquez hanno detto che dopo aver vinto in marzo e in maggio, la sinistra vincerà anche in giugno: per farlo dovranno però saper leggere le dinamiche a sé stanti del ballotaggio, ben consci che la strada, ora, è più che in salita.
Dovranno saper vincere sul piano retorico e soprattutto dovranno raggiungere quell’ampia fetta di popolazione che non si è recata alle urne domenica scorsa: stiamo parlando di quasi 18 milioni di persone, il 45,1% degli aventi diritto al voto.
Poco più di due settimane per non perdere un’occasione storica, per non lasciare che la destra riesca a mantenersi ancora una volta, con le buone o le cattive, nel posto dove si trova da sempre.