DI TULLIO TOGNI
8 GENNAIO 2021
Intervista ad Omeima Abdeslam, rappresentante del Fronte Polisario presso le Nazioni Unite
Hanno ripreso a tuonare i cannoni nel Sahara Occidentale, dopo 29 anni di negoziazioni dalla firma del Cessate il Fuoco che nel 1991 aveva posto fine al conflitto armato durato 15 anni. In gioco, dal lontano 1975 quando il Marocco ne occupò militarmente il territorio, rimane il Referendum per l’autodeterminazione del popolo sahrawi.
Il 10 dicembre, nel giorno dell’anniversario della firma della Dichiarazione dei Diritti Umani, Donald Trump ha espresso in un tweet il riconoscimento della sovranità del Regno del Marocco sul Sahara Occidentale; in cambio, la monarchia marocchina ha a sua volta riconosciuto Israele e avviato il processo per definire stabili relazioni politiche e commerciali, senza contare l’acquisto di materiale bellico (droni di sorveglianza, missili di precisione oltre a bombe di vario tipo) per 1 miliardo di dollari. Una realtà per altro già esistente nel dietro le quinte dell’appoggio del Marocco alla causa palestinese, basti pensare che fu lo stesso Israele a favorire la costruzione del muro di separazione lungo 2700 km nei Territori Occupati del Sahara Occidentale.
Dopo il riconoscimento da parte dell’amministrazione Trump di Gerusalemme quale capitale di Israele e il piano per l’annessione del Golan e della Cisgiordania, sul fronte del Sahara Occidentale è arrivato recentemente un altro tweet, in cui Mike Pompeo ha dichiarato di voler aprire un consolato nei Territori Occupati dal Regno del Marocco: l’ennesimo sfregio al già esile Diritto Internazionale, oltre che una mossa di carattere geopolitico per il controllo di Nord Africa e Medio Oriente. Vedremo se Biden saprà – o meglio vorrà – invertire la rotta. L’UE, dal canto suo, mantiene il suo immobilismo, avvinghiata come sempre agli accordi con il Marocco sui commerci di fatto illegali di beni naturali provenienti dal Sahara Occidentale occupato (pesca e fosfato in primis) e sul contenimento dell’immigrazione africana.
Omeima Abdeslam, rappresentante del Fronte Polisario presso le Nazioni Unite a Ginevra, ha accettato di rispondere a qualche domanda relativa alla situazione attuale:
Perché si è tornati a una situazione di conflitto armato ?
Il Consiglio di Sicurezza ha prolungato di un ulteriore anno la missione delle Nazioni Unite nel Sahara Occidentale, mantenendo di fatto l’agonia di un processo di pace che compie 29 anni e che non ha dato nessun frutto. Così, il 20 ottobre 2020 un gruppo di giovani saharawi ha deciso di occupare in maniera pacifica il valico di Guerguerat, impedendo il traffico commerciale in entrambe le direzioni. Ricordo che Guerguerat è una piccola striscia di terra di 4 km che separa la frontiera mauritana dal Sahara Occidentale occupato dal Marocco: si tratta di una zona cuscinetto sotto supervisione della MINURSO (la Missione dell’ONU per l’organizzazione del Referendum nel Sahara Occidentale ndr) che non rientra negli accordi del Cessate il Fuoco del 1991; ciò nonostante, viene quotidianamente utilizzata dal Marocco per trasportare verso Sud i prodotti e i beni alimentari sottratti illegalmente al Sahara Occidentale.
Il 13 novembre, violando il Cessate il Fuoco, il Marocco ha mobilitato l’esercito e in maniera violenta ha smantellato il blocco stradale di Guerguerat. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, e così anche il Fronte Polisario ha dichiarato la fine del Cessate il Fuoco e ha ripreso le armi. Dal 13 novembre vi sono stati diversi scontri armati tra il Fronte Polisario e l’esercito marocchino, principalmente lungo il muro della vergogna che separa i Territori Occupati del Sahara Occidentale da quelli liberati gestiti dal Fronte Polisario.
Qual è stata la reazione della Comunità Internazionale di fronte a questa nuova guerra?
Due sono stati gli avvenimenti che hanno fatto in modo che la questione del Sahara Occidentale trovasse infine una certa copertura mediatica: 1. La ripresa del conflitto armato tra il Fronte Polisario e l’esercito marocchino; 2. Il riconoscimento di Trump della sovranità del Regno del Marocco sul Sahara Occidentale.
Prima di questi due avvenimenti, la questione del Sahara Occidentale era da sempre passata sotto silenzio. La stessa grande rivolta del popolo sahrawi di Gdeim Izik nel 2010, che fu la scintilla della Primavera Araba, non fu mediatizzata: ci si ricorda Tunesi, la Libia o il Cairo, ma nessuno ricorda là dove tutto ebbe inizio.
Quali implicazioni possono avere per il popolo sahrawi le recenti dichiarazioni di Trump?
La legge internazionale dice che il Regno del Marocco non ha nessuna autorità legittima sul Sahara Occidentale. Nemmeno Trump ha alcuna autorità sul Sahara Occidentale, eppure si permette di riconoscerne la sovranità del Marocco: questo è illegale, è contro la Legge Internazionale ed è molto grave perché è una sorta di “via libera” all’occupazione di altri territori da parte di di potenze straniere, senza che ciò abbia ripercussioni sul piano giuridico. È importante che tutti i paesi si rendano conto della gravità della dichiarazione di Trump, poiché è in gioco la sicurezza di tutti.
Al tempo stesso, però, va detto che la dichiarazione di Trump non è del tutto negativa per noi sahrawi, perché può avere un effetto boomerang: vi è infatti in gioco il riconoscimento di Israele da parte del Marocco. Vanno ricordate due cose fondamentali: la prima è che il popolo marocchino è da sempre stato molto solidale con il popolo palestinese, la seconda è che il Re del Regno del Marocco, Mohammad VI, è presidente del Comitato di Gerusalemme (al-Quds), strumento dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica (OIC), fra i cui obiettivi vi è quello di dar seguito alle risoluzioni attuate dagli organismi internazionali relative a Gerusalemme. La contraddizione è palpabile e il riconoscimento di Israele da parte di Re Mohammad VI non è soltanto un tradimento verso la Palestina, ma anche verso il popolo marocchino. Per questa ragione, onde placare la rabbia della società civile, il riconoscimento di Israele da parte del Regno del Marocco è stato inserito all’interno della questione del Sahara Occidentale, che da sempre è stata usata dalla monarchia per creare un sentimento identitario nazionalista.
Ma ripeto, la dichiarazione di Trump ha sicuramente anche dei risvolti positivi. Innanzitutto ha dato un eco mediatico alla questione del Sahara Occidentale, e poi ha aperto gli occhi a molti palestinesi, i quali solo raramente hanno riconosciuto il popolo sahrawi come vittima delle loro stesse sofferenze. Ora conoscono la realtà, sanno che anche noi sahrawi, como loro, siamo vittime di un’occupazione militare e di una pulizia etnica, siamo divisi da un muro che segna l’apartheid, siamo privati di diritti, siamo repressi giorno dopo giorno e ci vengono saccheggiate le risorse naturali del nostro territorio. Tutto questo è identico fra la Palestina e il Sahara Occidentale. Ora i palestinesi sanno chi sono i loro veri amici e chi invece, anche fra gli Stati arabi, li appoggia formalmente ma poi collabora alle loro spalle con il loro oppressore Israele.
La rivolta di Gdeim Izik, nel 2010, è stata la scintilla che ha dato avvio alla Primavera Araba: è possibile che questa nuova guerra avrà una traiettoria simile?
Chi conosce il mondo arabo e in particolare il Nord Africa, sa che ogni 10 anni c’è un sollevamento. Spesso viene represso nel sangue, ma poi ritorna. La resistenza dei sahrawi non è solo per noi stessi, ma per tutti i popoli privati di diritti e libertà. È una resistenza che ha come obiettivo anche la liberazione dello stesso popolo marocchino dalla dittatura della monarchia corrotta che lo opprime.
Fino a quando proseguirà questa guerra? La via diplomatica è ancora un’opzione percorribile?
Noi sahrawi non crediamo più nelle Nazioni Unite né nella Comunità Internazionale: loro sono complici di questa guerra e del naufragio delle negoziazioni, poiché non hanno mai avuto la volontà politica di favorire il processo di pace e l’organizzazione del Referendum per la nostra autodeterminazione. Questa seconda guerra di liberazione che siamo stati costretti a riprendere non terminerà se non con l’indipendenza oppure con la morte. Il popolo sahrawi non permetterà che si ritorni al gioco ipocrita delle negoziazioni.
Che aria si respira nei campi profughi in Algeria e nei Territori Occupati? Come è stata accolta la notizia del ritorno alla guerra da parte del popolo sahrawi?
È impressionante. Quando in un paese scoppia una guerra, si vede la popolazione civile fuggire il più lontano possibile. Nel nostro caso, invece, è il contrario: moltissimi sahrawi che vivevano all’estero hanno fatto ritorno alla loro terra per arruolarsi; stessa cosa nei campi profughi, dove la maggior parte della popolazione maschile si è arruolata in maniera volontaria. È incredibile l’effetto che ha generato la sollevazione armata, lo spirito di unità e di forza che si è creato. Abbiamo dato troppo tempo alla pace e non è servito a nulla, ora sappiamo che tutto questo non finirà se non con l’indipendenza o il martirio.
Ascolta i audiodocumentari di Tullio Togni realizzati sulla questione del Sahara Occidentale a questo link:
Il primo realizzato nei Territori Occupati con conseguente fermo ed espulsione da parte dei servizi segreti marocchini
il secondo e il terzo realizzati nei campi profughi saharawi in Algeria, trasmessi da radio Onda d’Urto, e l’audiodocumentario Sahara Occidentale, il conflitto dimenticato realizzato da Tullio Togni per Radio Svizzera Italiana
Leggi qui il RAPPORT 2020 del CENTRE AHMED BABA sul coinvolgimento delle aziende, anche italiane, nello sfruttamento delle risorse del Sahara Occidentale da parte del Marocco in violazione del diritto internazionale.